Eithne, sotto il cielo d’Irlanda.
Stretta nel suo maglione a collo alto,
in un candido metaforico abbraccio di soffice lana,
pareva volesse già schermirsi al vento freddo dell’autunno.
L’ansia (fertile genitrice di irrazionali paure) sapeva esser abile nel giocare d’anticipo ed Eithne, anche nel pieno dell’estate, non avrebbe saputo anticiparne le mosse: quella postura, lievemente chiusa su se stessa, era l’ultima flebile difesa che avrebbe saputo mostrarci.
Pareva (in quel sorriso pregno di fragile timidezza, tra spalle lievemente chine) impaurita dal pensiero dell’inverno a venire, dal ricordo di quello appena trascorso.
Qui al nord era un’estate fredda: gelidi flutti riempivano i letti dei fiumi, apparentemente mai troppo lontani dai ghiacciai che li avevano partoriti.
Il sole, filtrato da una densa trama di nubi monocromatiche, ci sembrava ogni giorno più stanco: desideroso di congedarsi con frettolosità nel pieno del meriggio, pigro nel ritardare la sveglia il mattino successivo.
Eithne non mi parlava, amplificando l’imbarazzo con cui continuavo a scrutarla al di sopra del silenzio.
Nell’assenza del dialogo venne a risvegliarci l’olfatto, quando dal villaggio alle nostre spalle s’iniziarono a spargere in onde concentriche gli aromi speziati di chi già pensava alla cena: ma era ancor solo pomeriggio, era ancor solo estate.
Solamente era, nella sua tangibile irrealtà, nient’altro che un pomeriggio d’estate.
Questo avrei voluto comunicarle, scuotendone la stasi con il vigore di chi ha intenzioni salvifiche: non era che un pomeriggio d’estate, per quanto atipica.
Questo avrei voluto urlare alle donne premurose che già s’affaccendavano, smarrite nella loro routine, tra le cucine del villaggio: non era che pomeriggio, pieno pomeriggio.
Troppo presto per preoccuparsi della cena, in questo lungo pomeriggio d’estate.
Troppo presto per crucciarsi dell’autunno, in quest’estate unica che qui, ed ora, ancora stiamo condividendo.
Eithne ascoltami,
quest’estate diverrà torrida e noi, come rettili, muteremo la pelle.
Eithne ancora una volta,
trapasseremo la nostra stasi con vitale dinamicità, al costo di lasciarci la pelle.
Io, nel frattempo, ti aspetto.