Da equinozio ad equinozio.

«Quando ti ho conosciuto,
avevi un cacciavite a stella per fissare un’altra notte»

La confusione, adesso, è nella mia incapacità di distinguere tra marzo e settembre:
la confusione è in questo capovolgimento di equinozi che,
come bambini spensierati,
giocan a far le capriole.

All’interno di questa cornice surreale,
all’interno di questo ristorante,
una luce tagliente fende sottili tendaggi in raso: un gesto violento,
compiuto dai dardi solari con il nobile fine d’accarezzarti dolcemente il viso.
Centocinquanta milioni di chilometri per poter esser dolci, ora, con te:
come avrebbe potuto un velo di seta fermarli,
a pochi centimetri dalla mèta ultima d’un così lungo viaggio?

Com’è docile ed amorevole questa luce, ora, nel circumnavigarti il viso.

Com’è docile ed amorevole nel riempire lo spazio,
nel dilatare il tempo fino a farlo esplodere:
come fanno i bambini, soffiando forte nei palloncini
(fino a farlo esplodere, fino a che è il tempo stesso a non esister più).

Incalzante, il cuore detta alle nostre pance gravide il ritmo a cui partorire parole che addensano l’aria, spingendoci ad accorciare le distanze senza neanche chiederci il permesso.
Senza neanche chiederci il permesso, qualcosa entra nello spazio tra noi:
così, per quella forza che non ammette resistenze o dinieghi, siamo ora più vicini.

«Nonostante tutto, siamo ancora qui»

Troppo vicini, ora, per invertire la tendenza:
troppo vicini per negare l’innegabile,
troppo complici per fingere inconsapevolezza.

Troppo complici per fingere inconsapevolezza.

Ti parlo ancora, e mi commuovo.
Ti ascolto parlarmi, e mi commuovo.
Mi ascolto parlarti, e mi commuovo.
Ti ascolto celebrare l’emozione (e, ancora una volta, mi commuovo anch’io).

«Quindi se per il weekend tu non hai altri programmi, ti va per caso di sposarmi?»

L’equinozio torna così ad esser quello d’autunno:
torna ad essere il ventuno di marzo,
mentre la danza delle foglie muore a pochi centimetri da terra,
poggiandosi su petali di fiori appena schiusi.

Mentre le giornate si distendono, si ritraggono:
si ritraggono, si distendono.
Mentre i nostri occhi,
con grandiosità,
colmano quell’impresa che le parole non han saputo portare a compimento.

Nulla sarà più come prima.

Poi l’arrivederci, forse l’addio:
la Vita che ci spinge verso direzioni diverse, verso obiettivi comuni.
Una Vita insieme, forse lontani: nella memoria, nell’oblìo.

Una Vita attraverso gli inverni:
da equinozio ad equinozio, attraverso gli inverni.

«Ti va per caso di spostarmi il baricentro in una mossa:
da casa mia, a casa nostra?»

Brevi citazioni in corsivo dal brano “Quando ti ho conosciuto” dei Coma Cose © Antonio Filippelli, Francesca Mesiano, Fausto Zanardelli, Gianmarco Manilardi, Iulian Dmitrenco

L’assertività delle Stagioni.

Come un’impetuosa folata di vento spalanca portoni dalla chiusura difettosa,
così giunge l’autunno a far suo uno spazio che mi stava ancora raccontando l’estate.

Che giunga l’autunno, a queste latitudini, è cosa inevitabile:
dalla prospettiva di un infante curioso di scorger il mondo al di là delle vesti materne, inoltre, diviene anche apprezzabile.
Ancor più apprezzabile se imparo a modulare l’intensità del cambio di stagione,
cosicché l’irruenza con cui si palesa l’autunno non mi parli più di violenza ma, au contraire, torni ad essere l’effervescenza naturale d’una sana adolescenza:
quell’infante, in fondo, è cresciuto.
Quell’infante è cresciuto e la sua curiosità con lui, mutando in fermento effervescente con cui dà prova di saper compier scelte in autonomia:
è il vagito di un’identità che rivendica a gran voce l’umano diritto ad uno spazio solo suo.

Gli eventi della Vita ed il fluire del Tempo, pur nella loro naturale inevitabilità, cominciano così ad interagire con il mio scorrere solo in funzione della mia eventuale predisposizione ad accoglierli.
Questo accade appresa l’Arte di riparare le serrature difettose, affinché i portoni d’ingresso riacquistino la loro funzione primaria:
sceglier quando aprire la mia Casa al mondo,
quando lasciarlo entrare o andargli incontro.
L’effervescenza dell’adolescente che ero diviene così, nell’adulto che sono, consapevole assertività.

A tutelare l’intimità d’uno spazio sacro vi è oggi lo scatto metallico d’una serratura che con l’età adulta ho saputo riparare: uno scatto secco a deciso, a protegger un’identità ora in grado di scegliere quando concedersi alle Stagioni in amplessi che, così, diventan del tutto consenzienti.

Come un’impetuosa folata di vento s’infrange impotente sullo spessore legnoso di portoni fortificati nel Tempo,
così giunge l’autunno a lambire appena i confini di quello spazio che ancor mi parla d’estate.

 

Untitled #1.

Stagioni diverse bilanciano il Tempo che ci è dato:
abbiamo Inverni per crescere ed Estati per riposare,
Estati per crescere ed Inverni per riposare.

Nuove solitudini, rinnovate compagnie:
nuovi ostacoli da attraversare,
nuove ragioni per riconoscerci e proseguire il cammino.

L’unica cosa che manca è forse la monotonia,
in un viaggio che ha l’intensità di una buia notte stellata,
del silenzio di un mare profondo in perenne movimento.

Intenso come lo sguardo di Anime che incontrandosi si riconoscono affini,
attratte da una promessa senza Tempo:
una promessa che scavalca le Stagioni, per adempiere ad un progetto concepito al di là della Materia.

Il Tempo, nel frattempo, continua il suo scorrere: le Stagioni, rotolando, s’aggrovigliano tra loro.
È quel Tempo assente nello sguardo di Anime che si riconoscono affini:
assente, nelle profondità di un mare in perenne movimento, nel buio di una notte stellata.

Nella ricerca di Dio.

Acqua in movimento.

Non so neanche che giorno è del mese
Le giornate sembrano sospese

In quante Vite ho visto questo mare?
Con quante parole ne ho scritto, attraverso le Stagioni?
Ora che al riguardo non c’è più niente da dire,
resta la delicata e rispettosa contemplazione delle onde.
Delicata, silenziosa.

L’immaginazione vede in quei flutti cicli di inspirazioni ed espirazioni continui:
un’immagine, questa, che rende il mare non solo più vivo ma anche più simile a me.
Respiro io, respira anche lui.
Siamo, entrambi, acqua in movimento.

So quante volte ci sono stato e so che tornerò così come so che, ora, sono qui.
Qui, a vedere in lui un po’ di me.
E viceversa.

Non so neanche che giorno è del mese
Le giornate sembrano sospese

Brevi citazioni in corsivo dal brano “Cartoni Animati” di Rose Villain • Compositore Andrea Ferrara • A Columbia/Arista release (P) 2023 Sony Music Entertainment Italy S.p.A.

Nella camera oscura del tuo Cuore.

This is my happy face,
I’m happy here down in the dirt.

Marco è particolarmente fragile, in questo periodo:
Giulia, che lo accompagna, una vera troia.
Marco mi prega di evitare quel termine,
di sostituirlo (come si suol fare oggigiorno) con qualcosa di politicamente corretto:
mi suggerisce Giulia sia atipicamente sincera, diversamente empatica.
Lo accontento,
pur sapendo che ormai manco più questi sotterfugi letterari bastino a tranquillizzare gli animi e calmare l’indignazione:
nella società in cui viviamo,
Marco,
non serve manco più l’azione affinché si generi una reazione.
La reazione d’intolleranza s’alimenta ed autonomamente cresce,
senza più aver bisogno d’inseguire un’azione per giustificare il suo bulìmico esistere.
È una reazione che basta a se stessa: si riproduce per gemmazione e quanto può fagocita.

To moderate the light of day.

Vista la tua fragilità sei un eroe a resister qui ed a protegger Giulia con eufemismi politicamente corretti, Marco:
nella mia umana miseria, non son bravo quanto te.
Vista la tua fragilità è prodigiosa la tua perseveranza ed io vorrei offrirti tutta la protezione di cui hai bisogno:
ma questo nostro spazio è permeabile solo alla nuda verità Marco,
per cui sai che la protezione che posso offrirti è solo quella racchiusa nel definito perimetro dei limiti miei.
Questo è ciò che ho:
un’umana protezione ad estensione limitata e l’ardire d’entrare nella camera oscura del tuo cuore per donartela.
Una camera accessibile scostando quel velo appena un po’,
quanto basta per scorgere una realtà nuova:
una realtà in cui, probabilmente, Giulia manco si trova più.

I wanna tell you that you can be inside of my dreams.

Nella camera oscura del tuo cuore,
Marco,
anche in sua assenza sai di poter sviluppare di lei tutte le immagini che vuoi:
io, che accompagnandoti e proteggendoti ho imparato anche a conoscerti, so che quelle immagini resteranno le più belle al mondo.
Al di là del soggetto ritratto, le più belle al mondo.
Continua a sviluppare, Marco, che la bellezza del tuo creare è la miglior medicina:
la molecola magica che nessuna casa farmaceutica ha saputo sviluppare mai.

Al di là del velo,
nella camera oscura del tuo cuore.
Al di là del soggetto ritratto,
la miglior cura che sia stata sviluppata mai.

The fear of summer,
the silence of the undertow.

Brevi citazioni in inglese dal brano “Take The Prescription” dei Major Parkinson Peri Winkle · Jon Ivar Kollbotn · Lars Christian Bjørknes · Eivind Gammersvik ℗ 2023 Degaton Records

Scorrere, per rimanere.

Float down strangers,
flow and stay.

Vivere intensamente lo scorrere del tempo è un viaggio che si rinnova con frequenza, in cui l’alternarsi delle stagioni diviene il parto violento di una gestazione durata novanta giorni: inevitabile passaggio di morte e rinascita, di morte e rinascita, di morte e rinascita ancora.

Il lento respiro di una fisarmonica che per tre mesi si espande,
per un giorno si arresta silenziosa,
per altri tre mesi si contrae.

Vivere intensamente lo scorrere del tempo è attraversare ad occhi socchiusi gli strati da cui hai preso forma, proseguendo un viaggio a senso unico finché non giungi al centro, a quelle coordinate interiori accessibili a te soltanto.
Lì, ogni cosa è al suo posto: anche tu.

Vivere intensamente lo scorrere del tempo è una lenta discesa alle profondità del tuo albero genealogico: è lo sporco della terra che ti circonda, la digestione delle radici che ti hanno nutrito e tra cui hai trovato spazio.
È la ripartenza in rampicata verso il tronco che prosegue poi sui rami, fino alle estremità,
fino alla schiusa di nuovi germogli.

Un arricchente viaggio in solitaria in cui assaporare un senso di libertà nuova:
piena, inebriante, corroborante.
Un movimento lento che lento approfondisce, ripercorre, attraversa, muore e rinasce.

Scorrere,
senza temere.

Scorrere,
per rimanere.

Vivere intensamente lo scorrere del tempo è condensare l’infinito in ogni istante,
a partire da qui.

 

Breve citazione in inglese dal brano “Now There’s That Fear Again” dei Múm · Gunnar Oern Tynes / Oervar Thoreyjarson Smarason / Kristin Anna Valtysdottir / Gyda Valtysdottir © Warner/chappell Music Publishing Ltd

La stagione che ha vinto la morte.

Cue to your heart that is racing
Stung by the look in your eye
(What a surprise)

Sono stanco, Chiara.
Stanco d’attendere una Primavera che pare non tornar più, che quando poi arriverà sarà tardi:
sarà ormai Autunno, Chiara, e ci toccherà attendere ancora.
Ma io attender più non so, stanco delle proposte che mancano la stagione cadendo fuoritempo come le bacchette d’un batterista ubriaco, ubriaco e stanco.

Serbo tuttavia le energie per salutarti e, nel farlo, non so se sia accoglienza o commiato:
dimmi Chiara, ci siam davvero incontrati mai?
Facciamo in un’altra vita allora, nella Primavera di un’altra vita:
che sia il Marzo a venire, così da aver quanto più tempo possibile a disposizione,
quanto più tempo possibile per morder la vita prima che in Novembre tutto muoia,
costringendoci ad attendere un’altra vita ancora.

Alla prossima, Chiara:
all’eventualità del potersi incontrare senza mai essersi realmente venuti a cercare.
Ai rimpianti di tutto ciò che è stato partorito senza compiersi in pienezza:
a tutto ciò che è nato senza saper morire mai.

Ad un Marzo futuro, Chiara, poiché di farmi sorprendere dalla vita, in fondo, non mi sazio mai:
di farmi sorprendere e di credere nella vita, ora lo sai, non mi stanco mai.

“Sing for your lover who’s waiting at home,
then you must realise that you’re never alone”

Citazioni nel virgolettato in inglese dal brano “Summer’s Gone” dei Placebo · Brian Molko, Steve Hewitt, Stefan Olsdal · ℗ © Bmg Fm Music Ltd

Solo un sabato sera.

Nell’incrocio tra le strade del tempo e quelle di questa città
ho perso il contatto con le cose superflue.

A pochi metri dalla vetrina di Blockbuster cresce, per ogni film che scorgi al di là del vetro, l’eccitazione nella tua voce: ti fai beffe della matematica e proponi di noleggiare una quantità di videocassette per le quali non basterebbe una vita intera, noncurante del fatto che abbiamo solo le poche ore d’un sabato sera da trascorrere insieme.
«Solo le poche ore d’un sabato sera, Mya» penso tra me e me, sorridendo al di là della sciarpa di lana che mi copre la metà inferiore del viso.
«Un sabato sera solamente Mya, di calde tisane e complicità» continuo a pensare, senza esplicitare pensieri che già condividi (è anche questa, in fondo, la nostra complicità).

Ti guardo e mi chiedo quanti anni tu possa avere mentre saltelli lungo la vetrina, battendo l’indice sul vetro ogni qual volta un film colga il tuo interesse: ad ogni secondo amplifichi così il tuo entusiasmo, la tua effervescente irrequietezza.
Quanti anni senti di avere, ora, Mya?
Forse un terzo di quei trenta che vorrebbe assegnarti la matematica?
(Che di quella matematica ti fai beffe, tu: lo sappiamo entrambi, è la nostra complicità).

Fai come ti pare, Mya: i miei anfibi non sanno saltare come fai tu, ma è un piacere restarti a guardare.
Usurati per l’impervietà dei sentieri percorsi, i miei anfibi sono oggi pesanti e saltare non san più (ma è un piacere restarti a guardare, Mya: restarti a guardare saltare).

Alla giusta distanza per raccogliere una preziosa istantanea di questo presente ti osservo con candore e, se non ci fosse questa nera sciarpa di lana a coprirmi la metà inferiore del viso, mi vedresti forse sorridere: è quel sorriso che hai cercato da tempo.
Quel sorriso che a te, in questo freddo sabato sera di Novembre, sento di voler finalmente mostrare.
Quel sorriso, questo presente.

Scegli cosa vuoi, Mya: quel cartone animato che ti fa tornare bambina, quel film romantico che ti fa sentire donna e che ti commuove, perché in quella donna è rimasta viva la bambina che desidera il cartone animato, saltellando davanti alla vetrina di Blockbuster.
Saltellando davanti a questa vetrina scegli anche quel film dell’orrore, se vuoi: lascia che diventi pretesto affinché tu possa farti vicina, sul divano di casa.

Scegli il film che vuoi, poiché abbiamo solo un sabato sera e, in quest’unico sabato sera, potresti vedermi sorridere, Mya.
Quel sorriso, questo presente.

Anche superati i quarant’anni, con la barba ormai bianca, ricorderò di questo nostro incontro: la barba bianca ed un sabato sera colorato a cui ripensare.
Un sabato sera colorato, come la vetrina di Blockbuster.
Come il tuo maglioncino di lana.
Come il nero della mia sciarpa (che copre talvolta i sorrisi, ma è un colore anche quello).

Scegli cosa vuoi, Mya, che la colonna sonora di questa serata resterà comunque l’entusiasmo della tua voce, a corteggiare la profondità del mio silenzio.

L’entusiasmo della tua voce, a corteggiare la profondità dei miei silenziosi sorrisi.

Nell’incrocio tra le strade del tempo e quelle di questa città
ho perso il contatto con le cose superflue,
ho ritrovato me stesso.

“Take my hand, are you going to the movies?
Do you contemplate the miracles of life?
If life is a miracle, it’s a miracle, yeah.”

Citazioni nel virgolettato in inglese dal brano “Fantasia Me Now!” dei Major Parkinson · Peri Winkle · Jon Ivar Kollbotn · Lars Christian Bjørknes · Eivind Gammersvik ℗ 2022 Degaton Records / Apollon Records

Sostiene Adler .

L’alternarsi di queste recenti stagioni ha spostato via le paure ad una ad una:
come bicchieri di plastica in una giornata di vento,
ad una ad una hanno mostrato la loro vuota leggerezza.

Così vuote paure s’è portato via il vento, al termine d’una festa che pareva organizzata per il bene mio.

Via le paure il tavolo è sgombro e può, ora, offrirmi il suo sostegno:
con naturalezza mi ci siedo su, lasciando esili gambe a penzolar giù.
Sospese al di sopra del terreno sembrano esser senza peso:
via le paure han riacquisito leggerezza e, come quelle d’un bambino in altalena, ondeggiano lievi in questa giornata di vento.

Vento avvolgimi ancora:
vedo laggiù la città.
I miei pensieri che arrancano,
i guai dell’umanità.

È il coraggio, sostiene Adler.
Il coraggio ritrovato,
la scintilla che infiamma Nigredo in Citrinitas,
l’umano senso d’inferiorità in consapevole potenzialità.
Il coraggio del Sole che, in questo Maggio, apre definitivamente le nubi:
prepara così spazio all’estate,
stagione matura poiché (senza pensar al raccolto che sarà) apprezza quanto turgore nei suoi semi già c’è.

È il coraggio, sostiene Adler, a sostenere sia me che te:
che i nostri confini si tocchino,
ora,
sfiorandosi come mani di amanti che il loro Amore non riescon a dichiarare.
Avvicinati, allora:
i nostri confini esistono affinché possano sfiorarsi,
acquistano significato solo quando riescono a lambirsi
(nel reciproco contatto, nel reciproco rispetto).

Nel tempo che si dilata,
rimbombami dentro:
non so altro che non sia scegliere.

L’alternarsi di queste recenti stagioni ha spostato via le paure ad una ad una:
è per questo che possiamo godere di questo adesso, qui, ora.
È per questo che possiamo aumentare l’intensità del presente fino a donargli una luminosità abbagliante:
una luce così piena da impedire al nostro sguardo di frugare tra ricordi passati,
da impedire al nostro sguardo di raggiungere un futuro eventuale.

Una luce così piena, come il coraggio del Sole.

È il coraggio, sostiene Adler:
il soffio del vento che ha portato via con sé tutto ciò che oggi non serve più.

Come bicchieri di plastica in una giornata di vento,
tutto ciò che oggi non serve più.

Citazioni nel virgolettato dal brano “La Fuga” – Marlene Kuntz © 2022: Ala Bianca Group Srl

Movimento a densità differenti.

“Where it grows on trees but never,
never blooms”

Uniche e compenetranti, le Stagioni della Vita:
nel vortice del Tempo si sfiorano, senza ripetersi mai.

S’intravedono, nella singolarità di quest’Inverno, frammenti d’una Primavera trascorsa:
di quando sarebbe bastato un viaggio, per condire la libertà con incoscienza.
(Un viaggio, per condire la libertà con incoscienza).

In vampe s’accende, nell’irripetibilità di quest’età adulta, un guizzo d’adolescenza:
filtra oltre questi jeans consumati per andar a cercar un senso, a crearsi un’identità, a morder il mondo come fosse frutto proibito.
(Cercar un senso, a morder il mondo come fosse frutto proibito).

Sinuosamente affiora, nell’unicità di quest’età adulta, un respiro di vecchiaia:
quando i passi poggiano su sentieri già visti e vissuti mentre cuore e mente, cooperanti, di quei sentieri intuiscono proseguio e compimento.
(Cuore e mente, cooperanti, intuiscono proseguio e compimento).

Incontenibile si palesa, nella singolarità di quest’età adulta, un rigurgito d’infanzia:
quando l’intensità dei più significativi vissuti riporta alla fragilità con cui hai iniziato ad esplorare la Vita.
(L’umana fragilità con cui hai iniziato ad esplorare la Vita).

Una Vita di Stagioni uniche e compenetranti,
che nel vortice del Tempo si sfiorano,
senza ripetersi mai.

“Where it hurts the least for whoever
saw it first”

Due citazioni in inglese dal testo della canzone qui sopra: “The Last to know” – Faith no More Compositori: Bill Gould / Michael Allen Patton / Michael Andrew Bordin © Universal Music Publishing Group