Il Sogno siamese

Quanto resta, quando in Vita la consapevolezza ha saputo farsi spazio a discapito della leggerezza: quando del comprendere si è persa l’utilità, del condividere le occasioni.
Così pensavi, fratello caro, mentre io pensavo a te.
Proviamo allor a farci concreti contando gli anni ma, lo scopriam presto, i conti non tornan mai: hanno forse un numero, le stagioni della Vita che abbiam traversato?
Lo vedi anche tu: i conti, il tempo ed i conti sul tempo non tornan mai.

Quanto resta allora, quando i numeri perdon di significato, se non l’intensità del tempo condiviso?
Un’intensità tanto indeterminabile quanto presente: concreta, in quel sogno siamese che ancora ci unisce.
Quel sogno siamese che nessuna mano di chirurgo separerà mai e che ancor ci tiene attaccati: l’uno all’altro, a noi stessi, alla Vita.
Quel sogno siamese che ferite non ha: di quelle, lo sai, ci siam fatti carico noi pur di risparmiar lui.

Quanto resta, fratello mio, è ciò che contar non si può: un sogno siamese che anela alla veglia poiché è nell’alba, al contrario di quanto si pensi, che sfiora la luce per farsi reale.
Quanto resta, caro fratello mio, è un intangibile rifolo di Vita ad insinuarsi ancora tra membrane cellulari che avrebbero voluto farsi impermeabili ma che, del tutto impermeabili, non hanno saputo farsi mai.



“This is the story of two young lovers, on a beach, who have found each other by the end of the war…”

Breve citazione in inglese dal brano “A thousand cuts” degli Ulver

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