End credits.

“Mister Florist, take my order please”

Al termine della proiezione dovemmo lasciare la sala.

In un attimo tale consapevolezza ci prese alla gola ed altrettanto rapidamente avrebbe voluto esser digerita: giunse sotto le spoglie d’uno stacco netto sui titoli di coda cogliendoci del tutto impreparati, risvegliando in noi infantili desideri.
Avremmo voluto, ad esempio, ricominciare la pellicola da capo: così avremmo fatto se regole precostituite non ce lo avessero negato,
se non ci fosse mancato il coraggio,
se le nostre energie non fossero state prossime all’esaurimento.
In alternativa, non potendo rivivere l’intera trama fin dalle sue battute iniziali, avremmo quantomeno voluto riconsiderarne gli ultimi avvenimenti:
pieno sarebbe stato il nostro impegno nel riscriverne gli eventi,
nell’improvvisare nuovi sviluppi cambiando così l’epilogo di tutta la sceneggiatura.

La nostra natura di spettatori, tuttavia, non ci consentiva alcun tipo di intervento: non ci fu nessuno slancio a concederci di superare l’impotenza, a far sì che potessimo valicare la passività.
Non ci fu agire alcuno a scuotere la stasi fino a traghettarci sulle sponde di una qualche attiva partecipazione.

I titoli di coda risalivano a velocità costante, dal basso verso l’alto, come in una clessidra dal funzionamento atipico, inatteso.
Inattesi giunsero ed in modo altrettanto inatteso scivolarono via, come la cascata d’un mondo capovolto.
Sul margine superiore dello schermo la scomparsa dei caratteri divenne metafora dell’inevitabile: così gli eventi avrebbero continuato a scorrere –
– a senso unico, senza occasione alcuna per invertire la rotta.

Da spettatori giungemmo in sala e spettatori ancora rimanemmo, nell’immobilità generata dalla deflagrazione di questo finale improvviso.

Nella confusione della platea che lascia la sala, tuttavia, una riflessione mi scosse portandomi a chiedermi se davvero fossimo (stati?) solo spettatori: le analogie tra il nostro vissuto e le scene finali del film, in fondo, non potevano più esser ignorate e vennero a far luce sulle mie supposizioni.
Io, come quell’attore fino a pochi minuti fa, ero impegnato a gestire l’incredulità che copiosa fluiva dalla sorgente del tuo agire.
Tu, come la protagonista del film, avevi già trovato rifugio in quella realtà illusoria, in quel tuo mondo fantastico in cui ogni frammento di vita è l’esito dell’interpretazione di un atto, di una scena.
E’ una battuta da recitare,
un sentimento da fingere.
Un personaggio a cui dar vita, finché lui vita avere vorrà.

Proseguivano le mie riflessioni mentre il pubblico lasciò la sala, accompagnato dall’ultimo brano della colonna sonora: sulle armonie di una big band anni ’40 lasciammo la sala anche noi, impressionando per un ultimo istante una pellicola che già aveva smesso di scorrere.

(E’ una battuta da recitare,
un sentimento da fingere.
Un personaggio a cui dar vita, finché lui vita avere vorrà).

“I want some red roses for a blue lady
Mister Florist, take my order please
We had a silly quarrel the other day
I hope these pretty flowers, chase her blues away”

In corsivo citazioni dal brano “Red roses for a blue lady” – Vaughn Monroes & his orchestra

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