Se incontrassi la Capotondi.

“And we laugh like soft, mad children”

Se incontrassi la Capotondi mi introdurrei in lenta dissolvenza, scivolando con eleganza tra gli impegni che le riempiono il vivere (e, con umiltà, non mi lascerei sfiorare dal pensiero di divenir anch’io uno fra quelli).
Lascerei sublimare le presentazioni di rito, privando il dialogo degli usuali vincoli e porgendolo a lei con generosità: questo farei, per lasciarle trovare lo spazio che più le si addice, quello in cui mettersi a suo agio, in cui lasciar vibrare con naturalezza il suo spirito.

Se incontrassi la Capotondi mi porrei in uno stato di sereno ascolto in cui anche il Tempo desisterebbe, sommerso dal fluire di sensazioni guidate da correnti d’empatia.
Cercherei di intuire se, nel suo quotidiano esistere, si lasci accompagnare da umiltà: se così fosse le donerei la mia stima, confezionandola con apprezzamento per nulla appariscente.

Se incontrassi la Capotondi la porterei ove è Natura e, con rispettoso distacco, aumenterei la consapevolezza usando l’olfatto, separando il suo Aroma da quello sconfinato dell’oceano e dei suoi flutti, cercandola tra la pungente essenza delle conifere d’alta quota.
Proverei un certo timore nel vederla correre scalza tra fili d’erba ornati di rugiada, perché se così facesse mi troverei nell’affannosa ricerca interiore di parole atte a descrivere tale Bellezza.
Se dovesse poi tuffarsi nella voluttà d’un campo fiorito le porgerei probabilmente un brano tipo Genius Next Door della Spektor e, vedendola sorridere con levità
(come fanno i bambini nella scoperta di inaspettate e piacevoli novità)
capirei che il suo apprezzamento s’accorda sulle armonie del mio.
A quel punto, sì, potrei dirle che è la donna più bella che io abbia mai visto
(la più affascinante ch’io abbia mai visto recitare)
poi, ormai privo di peso, fluttuerei nell’intorno osservando, apprezzando, accettando ogni sua possibile reazione.

La Bellezza raggiunge talvolta inimmaginabili capacità, straripando al di là d’ogni possibile sovrastruttura, chiedendoci così d’esser esplicitata, condivisa, venerata.
Con umile inevitabilità.

“And we laugh like soft, mad children
smug in the wooly cotton brains of infancy.
The music and voices are all around us.”


Cristiana Capotondi, che ha inconsapevolmente ispirato questa mia notturna divagazione, è un’attrice italiana venuta al mondo in quel di Roma, pochi mesi prima che nascessi io.
(Nel virgolettato parla Jim Douglas Morrison – porzione di poesia usata in seguito, dal resto dei Doors, in “The Ghost Song”) .

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