Il vivere, che nell’età adolescenziale accosta il suo agire al morso d’un prelibato e succoso frutto,
diventa con il Tempo sensibilmente più lento, calmo e ragionato.
Al rapido, incosciente ed inconsapevole uso del gusto
(saliva-sudore-prelibati nettari consumati con ingordigia!)
l’adolescente cede all’uomo una più raffinata, lenta, sensibile – e consapevole, perbacco! – conoscenza dell’olfatto.
Osservati con fugace superficialità, i frutti della vita venivano in passato addentati, smembrati, spolpati e gustati con una voracità che poco lasciava spazio alla cronologicamente prioritaria crescita personale: l’insegnamento arrivava infatti in ritardo, quasi non riuscisse a tener testa al rocambolesco turbinio di eventi che, dalle papille gustative, irradiava sensazioni temporaneamente appaganti in tutto il resto del corpo.
L’insegnamento arrivava a posteriori, con l’esperienza, quando il succo del proibito frutto s’era ormai seccato sulla periferia di labbra mai sazie.
L’insegnamento arrivava in ritardo senza esser mai esser annotato,
poiché la vista era come il campanellino in esperimenti di Pavloviana memoria:
la vista era il campanellino a cui l’insaziabile voglia di mordere faceva rapidamente seguire un’immediata ed abbondante salivazione, un’irrefrenabile voglia di agire a fauci spalancate verso il vivere.
Quest’insaziabile desiderio di sperimentazione nell’immediato, che rinnegava la possibilità di remoti futuri, rendeva l’adolescente (ed il post-adolescente, nell’odierna società) simili all’infante che esplora a gattoni i suoi limiti e le sue possibilità, avvicinando alla cavità orale tutto ciò che è sconosciuto e potenzialmente piacevole, mordendolo con vigore, donandogli gratuitamente incalcolate quantità di corporei fluidi.
Occasioni venivano sprecate in virtù di un’apprendimento quanto mai superficiale e poco perseverante,
poiché le energie erano spese con una frequenza (energie*tempo-1) impressionante.
La consapevolezza dell’agire adolescenziale (e post-, come sopra precisato) arriva solo con l’età adulta,
dove i frutti vengono a lungo osservati ed ancor più a lungo respirati, annusati, lentamente interiorizzati, raramente morsicati.
La ricerca dell’esperienza viene così spostata al presente (o, al massimo, in un futuro piuttosto prossimo), poiché lunghi tempi e lente energie sono dedicati ad un’osservazione pregna di rispetto, ad uno studio che culmina in lunghe e profonde inalazioni di aromi da sempre desiderati, anche se solo oggi in modo consapevole.
Con intenzioni che quasi mai vengono esplicitate diventa più raro anche il contatto, che mai arriva al torsolo con la voracità del passato: così fa per rispetto, per coscienza, per un’evidente pacatezza promossa da imprescindibile consapevolezza.
Della polpa spesso basta il ricordo e, per chi ha saputo vivere in piacevoli armonie con le stagioni dell’esistenza, il ricordo è e rimarrà sempre vivo e denso, in modo direttamente proporzionale all’intensità del vissuto trascorso.
Di arrivare a poggiare denti su legnosi torsoli non v’è più, oggi, alcuna necessità, poiché l’eleganza dell’olfatto sa arrivare in luoghi in cui il fremito adolescenziale mai aveva neppur osato spingersi.
Il piacere si amplifica incontrando la calma consapevole e, anche se eccessive consapevolezze quasi ci portano ad annotare con fare certosino occasioni mancate, noi sempre troveremo il modo di guardare a ciò che è stato, senza rimpiangere ciò che oggi più non è.
Anche questo, in fondo, è l’agire dell’età adulta.