Nella sala d’attesa della stazione degli autobus ti avvicinasti sorridendo silenziosamente,
stringendo tra mani gentili un caldo infuso speziato:
ti avvicinasti lasciando che aromi di mare e deserto,
aromi di terre lontane,
portassero colore nella penombra di quella monocromatica sala d’attesa.
Fuori aveva quasi smesso di nevicare: un freddo sole invernale fingeva di riscaldare una vegetazione immobile,
una vegetazione congelata da mesi che sarebbe rimasta congelata per chissà quant’ altri mesi ancora.
Tra me e l’inverno un’ opaca vetrata,
un caldo contenitore d’aroma che solleva densi sbuffi di fumo fino ai miei occhi ed ancora più su.
Con lenta trasparenza poso su di te il mio sguardo e ricambio il sorriso, mentre qualche metro più in là un anziano signore tossisce pochi centimetri sopra una sciarpa dalle tinte sbiadite.
Ragazzine irrompono nel silenzio della sala con chiassose risate:
superficiali ma sincere risate,
superficiali ma sincere ragazzine.
Risate riecheggiano mentre guardiamo entrambi fuori, proiettandoci al di là della vetrata.
Dal nostro monocromatico rifugio ci troviamo così protesi oltre l’inverno, nelle stagioni che ancora devono venire ma che già si sono rivelate insinuandosi per un breve istante tra la nostra vicinanza:
stagioni si sono concretizzate in un sorriso complice, nel profumo di un delicato contatto d’epidermide.
Fuori il sole si fa più luminoso mentre noi, accorciando le distanze, lasciamo la sala ed i suoi inquilini:
temporanei o permanenti che siano li lasciamo con i loro pensieri,
con le loro abitudini e le loro emozioni,
con le loro abitudinarie emozioni.
Li lasciamo sorridendo alla piacevole confusione generata dall’intrecciarsi di stagioni differenti,
li lasciamo, sorridendo, alle loro attese.
Nella sala d’attesa della stazione degli autobus,
ti avvicinasti con un infuso d’erbe profumate.